Andare a caccia di sogni.
Sogni vividi, ultraterreni, a volte fissati nella pietra. Una realtà a cui il regista Federico Fellini era tendenzialmente allergico e che diventa un limite da oltrepassare, per vedere qualcosa che da soli non vedremmo. Quindi “Rimini” come chiave di lettura: ambigua, mai esaustiva, come la tana di
un Bianconiglio, fatta di figure marginali ma indispensabili, paradossi tragicomici e visioni sovversive di amori inarrivabili. Una terra fatta di atti poetici, dalla forma scritta alla manualità delle azdore romagnole, fino agli omaggi scultorei alla donna, i profumi diffusi dei borghi e l’euforia delle sue spiagge.